DON GIOVANNI, ARLECCHINO E IL CONVITATO DI PIETRA

dal canovaccio di Domenico Biancolelli

testo e regia di Luca Caserta

con

Roberto Vandelli,Luca Mascia

con la partecipazione di Isabella Caserta

e con

Maurizio Perugini, Marco Sabatino Andrea Pasetto, Alberto Novarin

Note di regia

Ciò che nel canovaccio di Biancolelli poteva apparire a prima vista come un “ostacolo”, ossia la sua frammentarietà, ha rappresentato per il mio lavoro il principale punto di forza: l’originale è divenuto un vero e proprio “calderone d’idee” cui attingere liberamente, mentre le lacune da colmare sono state di stimolo per la genesi di nuove idee. Il canovaccio è così giunto a instaurare un legame quasi diacronico tra passato e presente, tra la tradizione della Commedia dell’Arte e modernità.

In tal senso ho improntato sia il lavoro drammaturgico che registico: prendere dall’originale gli elementi più significativi e rielaborarli in una chiave vicina alla sensibilità odierna, cercando una sorta d’osmosi tra vecchio e nuovo. In questo modo sarebbe stato possibile trasporre nel presente quei messaggi che Biancolelli offriva ai suoi contemporanei. In alcuni casi ho optato per l’inserimento di scene mimiche, tratte dal canovaccio o appositamente scritte, che rimandano a lazzi e atmosfere tipiche delle Commedia dell’Arte, in altri per una resa in forma dialogica più moderna di determinate scene e situazioni.

Ho voluto conferire una maggiore centralità al soprannaturale, facendone un elemento ricorrente, il fulcro attorno cui ruota l’azione. Un’atmosfera di predestinazione aleggia su tutta la vicenda, come una cappa scura che poco alla volta inghiotte i personaggi. Questi ultimi si muovono in uno spazio quasi claustrofobico, sul quale troneggiano due soli elementi scenografici sempre a vista, un piedistallo e una panca in pietra, a indicare la fissità d’una sorte cui non si può sfuggire. La loro incombenza e il colore bianco che si staglia sul nero di fondo dello spazio teatrale sono una materializzazione dell’animo di Don Giovanni, del suo vuoto interiore e della sua incapacità d’amare.

La statua del Commendatore, manifestazione concreta del soprannaturale, è una proiezione di Don Giovanni stesso, l’esplicitazione del suo alter ego interiore: l’assenza di dialoghi tra i due (l’unico è affidato a un registrato dai connotati eterei, quasi un elemento esterno alla scena) sta a significare che per Don Giovanni ogni comunicazione coi propri simili è impossibile, se non nella forma di un “non-rapporto”.

Pur se narrata secondo gli stilemi del comico, è una storia senza speranza, in cui tutto precipita progressivamente verso l’unica conclusione possibile. Per tale ragione s’avverte un clima cupo, un senso d’amarezza che aleggia sul finale. Qualcosa però resta al di là del contingente e giungerà, prima o poi, a porre ordine nelle cose. In questo senso ho interpretato lo spirito satirico del finale voluto da Biancolelli.

Luca Caserta

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